Serena Ortolani
Biografia
Raccontare in poche righe la mia storia con il pallone tra le mani non è cosa facile.
Ci provo! Un’avventura cominciata dodici anni fa a Reda. Avevo solo 8 anni quando, forse un po’ per gioco, feci il mio primo palleggio, tra tante speranze e la certezza, unica, che lo sport può e deve aiutarti a crescere bene.
Allora, la serie A, la nazionale, gli scudetti non erano altro che quelle parolone magiche racchiuse nella nuvoletta dei sogni più belli, anche per mamma e papà che mi hanno seguito con occhio molto attento fin dalla prima partita.
A 12 anni sono andata a Forlì e il mio allenatore Max Bacchi mi ha insegnato a schiacciare, quel gesto, nuovo per me, l’ho sentito subito mio e l’ho accompagnato da un sorriso grande così. Quel giorno ho capito che non potevo, ma soprattutto non volevo fare a meno della pallavolo. Decido allora, dopo aver strappato il si da mamma e papà, di andare a giocare a Ravenna, in prima divisione. Entro in punta di piedi in una realtà nuova, cercando di percepire umori, ansie, e speranze delle mie nuove compagne di avventura, rubando loro qualche segreto, traducendolo poi con “morbida” attenzione in campo. Bel lavoro, sono contenta ma non mi basta. Quei ritagli di tempo rubati alla mia spensieratezza li dedico alla pallavolo, mi alleno più delle altre, da grande voglio fare la giocatrice!.
Dopo due anni torno a casa sognando un po’ di vacanze e con un interrogativo grande grande e difficile. Cosa farò il prossimo anno? Mi preparo a chiedere il solito consiglio ai miei genitori, quando una telefonata mi illumina la giornata: mi vogliono al Club Italia, sempre a Ravenna! Quella telefonata ha fatto scivolare via tutti i miei dubbi tranne uno.
A 15 anni è giusto rinunciare alla mia vita da adolescente, agli amici, al divertimento per la pallavolo? La risposta arriva nel giro di un batter d’occhio. Preparo borse e borsoni e torno a Ravenna, curiosa di conoscere 13 nuove sorelle, ma soprattutto desiderosa di accarezzare e indossare quella maglia azzurra con la griffe tricolore che, sono sicura mi invidiano in tante. Ho passato due anni stupendi, emozioni uniche. Una voglio raccontarvela.
La prima partita ufficiale con l’Italia, l’inno di Mameli che suona: giù qualche lacrima. Ero talmente emozionata che non ricordo se l’ho cantato o meno, ma vi posso assicurare che mi sono passati davanti anni ed anni di allenamenti e sacrifici. Tutti ripagati da questa maglietta azzurra. Sono arrivate due medaglie d’argento all’europeo e al mondiale con la prejuniores di Luca Pieragnoli, con la Juniores di Pedullà abbiamo portato a casa un piccolo sogno: la medaglia d’oro, fantastico. Una piccola lacrima però esce dai miei occhi, tra un po’ arriva il momento di separarmi dalle mie 13 sorelle, ognuna di noi andrà avanti per la sua strada con la speranza forte e intensa di ritrovarsi un domani con la maglai della nazionale maggiore. Torno a casa, nella mia Faenza, e un’altra notizia mi cambia la vita! Andrò a Bergamo, solo dopo qualche minuto ho capito davvero che era la Foppapedretti, andrò a confrontarmi con la Kilic, la Piccinini, portando con me tanta voglia di crescere e di migliorare e con un sorriso inatteso: con me verrà anche Katja Luraschi, una delle 13 sorelle! Ho scoperto un mondo nuovo, non facile ma comunque bello. Senza dimenticare la scuola che deve andare per forza di cose a braccetto con lo sport: a Bergamo studio decorazione pittorica e il diploma per me è stata una grande soddisfazione.
Ma mai grande come quella che ho vissuto una mattina in palestra con Pedullà, quando proprio lui, annuncia la mia prossima partenza per Baku con la nazionale maggiore. Solo un arcobaleno di colori poteva descrivere il mio stato d’animo: mi sono sentita una ragazza fortunata. La prima sera, in albergo a Baku, lontano migliaia di chilometri da Reda(Albereto) , mi è tornato in mente quel pomeriggio di tanti anni fa quando feci il primo palleggio: allora ero una bimba come tante che corrono e giocano con un pallone, oggi sono Serena Ortolani. E sono felice.
Con la nazionale maggiore ho fatto un Grand Prix da titolare e l’europeo, poi un momento difficile coinciso con lo stress, logico per un’adolescente, degli esami di maturità.
Superato, subito Barbolini mi ha affidato una maglia per il mondiale, un’altra soddisfazione che va a riempire un cassetto già pieno per me. Bergamo? Ci resto per tre anni, vinco lo scudetto, la Champions League e Coppa Italia, ma soprattutto dimostro di poter essere una giocatrice. Mi conquisto il posto da titolare con la Piccinini al mio fianco, come per un ragazzo che ama il calcio giocare al fianco di Ronaldinho o Totti: un sogno che si realizza. Ma non c’è più tempo per pensare ai sogni, ora sono una giocatrice vera, i sogni fanno parte della mia infanzia e li custodirò sempre con piacere. Sono una giocatrice e per questo ho scelto di salutare Bergamo e le mie fantastiche compagne, per andare a Piacenza, ovvero per lottare per una salvezza da protagonista. Scelta rischiosa ma da fare…
In poche righe vi ho raccontato Serena Ortolani, non è stato facile ma permettetemi di fare una riflessione: quel giorno a Faenza quando ho deciso di dire no alla vita di tutti i giorni per seguire la pallavolo con il Club Italia ho sacrificato la Serena adolescente ma ho spalancato le porte ad un futuro che ora non cambierei con nulla al mondo. Sono troppo innamorata del mio sport.
Ciao, un bacio. Sere!